Della Libertà (II)
di Ruhollah Roberto Arcadi.
Nel Nome d’Iddio Altissimo
Ci occorse d’osservare e notare altrove, e ci dispiace di dovere citare noi stessi, come e della nozione, e a della realtà della libertà il mondo moderno e contemporaneo, almeno nella sua variante liberale, oppure liberal democratica che dir si voglia, se ne sia impadronito del tutto, ad esclusione completa d’altri. Già la cosa si era notata da taluni anche per quel che riguarda la cosiddetta “democrazia”, che sarebbe meglio per noi dire sovranità, oppure volontà popolare, almeno per chi ignori del tutto l’antica lingua ellenica.
Ma non sarà certo quest’ultimo l’oggetto di questa nostra trattazione, essendo il nostro fine quello di dire delle cose per “causas altissimas’, per dirla con Tommaso d’Aquino, se la pretesa “sovranità popolare” non verrà ad essere se non una conseguenza, ed un’applicazione della libertà in generale, laddove essa pretenda di comporre un insieme preteso di supposti individui, nell’inesistenza dell’uno, e degli altri. Dell’uno in quanto risultato che a nulla darà luogo, al di là di quello da cui viene per successive apposizioni.
Nel senso che non si darà, nel primo dei due casi suddetti, un più esistenziale il quale abbia ad apporre alle sue unità successive più di quello che esse siano, al là della mera esteriorità del loro giustapporsi. E quanto invece agli altri, ciascuno di loro a prescindere dalla scaturigine della loro individuazione, che li trascende e lo origina senza escluderli. Tertium non datur. Per l’uno, vale a dire, per l’insieme, e per gli altri, ovverosia per gli individui, libertà dunque da nulla per nulla. E non crediamo certo di avere esagerato.
Quella che vogliamo invece qui discutere, sarà una questione duplice, vale a dire, in primo luogo quella del soggetto stesso della libertà, ed in secondo luogo, quella del suo oggetto, o meglio, del suo fine, vale a dire, del suo riferimento quanto a qualcuno, od a qualcosa. Quella del soggetto della libertà, o anche della libertà stessa come si preferisce a volte dire al giorno d’oggi, sarà la questione della consistenza esistenziale di quello che si vuole, o si pretende libero. Chi mai sarà libero, chi potrà volere o pretendere di essere tale?
Vorremmo qui risolvere e definire la questione in un senso eminente, come dicevamo, e non certo in un senso e comune, e banale, e volgare. In effetti le qualità trascendenti, vale a dire, quelle che concerneranno l’essere in quanto tale, non potranno certo fare a meno di riguardare tutto quanto l’insieme degli esistenti. Intendiamo qui fare riferimento a quegli attributi che si convertono con l’ente, o meglio ancora, con l’essere stesso, nella sua riflessione quanto a quello che è, che non potrà in nessun modo venire ad esimersene.
Dunque un essere che si converte, in tal senso, in primo luogo con sé stesso, in quanto ente, quindi con l’uno, se una pluralità in sé indefinita non sarebbe se non mera annichilazione, quindi con il bene, se il male non verrà ad essere se non mera privazione. Questo a prescindere da quell’eminenza, che definisce il secondo senso, quello superiore, della trascendenza stessa, vale a dire, dall’uno e dal bene in un senso superiore, od originale, donde tutto il resto verrà ad avere scaturigine, in un senso prima limitativo, e poi risolutivo.
Dicevamo dunque i trascendenti, vale a dire, i trascendentali, quando questi ultimi non vengano intesi nel senso banale e riduttivo del Kant, ovverosia di una soggettivazione meramente individuale. Sarà dunque, a nostro modesto avviso, anche la libertà uno dei trascendentali, anch’essa dunque perfettiva simpliciter, nel senso del meglio che essa sia assolutamente, così come il bene, piuttosto che essa non sia sotto un qualche riguardo, in quanto perfezione secundum quid, in quest’ultimo caso, come sarà ad esempio per il corpo.
Sarebbe lungo qui, e fuori luogo, o impossibile dedurre tutto un insieme, od addirittura l’insieme delle perfezioni assolute, quelle simpliciter, e non delle relative, di quelle secundum quid, la cui apposizione verrà dunque ad estendersi a tutto l’insieme dell’universalità stessa degli esseri. Ogni qualsivoglia essere, oppure ente, verrà dunque ad essere, in una sua qualche maniera, e verrà ad essere libero, così come anche perfetto, cosi come sciente, ed uno. e buono, siccome già dicevamo anche in precedenza, e così via.
Solo che, a questa medesima stregua, così come l’essere procede, nel suo ordine comprensivo, d’intensificazione in intensificazione, oppure di affievolimento in affievolimento, secondo l’uno e l’altro senso e direzione, del procedere suo, o del bene, o dell’uno, così anche, del pari, la libertà, di essere in essere, procederà in senso intensivo, a definire quella sua eminenza, oppure nel suo indebolimento, che ne verranno a definire il consistere nell’uno, oppure nell’altro dei versi di questo duplice suo procedere.
L’uomo verrà pertanto ad essere libero eminentemente, senza che ci si voglia lasciare qui andare ad una petizione di principio. Quello che qui vogliamo significare, sarà l’universalità dell’uomo, universalità almeno virtuale, anche se non effettuale, ed attuata, che gli deriverà dalla sua posizione di centralità nel creato, in particolare in questo nostro basso mondo dell’individuazione corporea, questo a procedere dall’eminenza della sopracorporeità immaginale, o sottile, e di quella della trascendenza, della semplicità.
Tutto questo non verrà a togliere, ancora una volta, che questa medesima universalità debba essere a sua volta anch’essa un trascendentale, vale a dire, che essa sia presente in tutte le creature, o piuttosto, in tutti gli esseri, ma questo da un’eminenza suprema produttiva, sino ai successivi livelli discendenti, oppure ascendenti, nel verso contrario, e questo sia nel significato dello stare, dell’essere tale, sia pure in quello del procedere, nell’uno e nell’altro senso, come avremo modo più oltre di vedere e di appurare.
Ogni essere sarà dunque universale, nel senso che rappresenterà in sé tutto l’insieme degli esseri del suo medesimo livello d’esistenza, includendovi dunque quelli inferiori eminentemente, così come verrà a rappresentare limitativamente i livelli superiori. Ma tutto questo a procedere dal centro del suo stato, vale a dire, del suo livello d’essere, dal quale procede e si trasfonde immediatamente, ma per mediazione dei vari livelli superiori, sino a quelli inferiori, sempre per mediazione di quel medesimo centro produttivo.
Quando diciamo di centro di uno stato, intendiamo qui riferirci al fatto che, nel procedere dai vari livelli superiori a tutti quelli inferiori, la cosa dovrà avvenire non tanto quanto ad uno per uno dei loro elementi, nel senso che un livello superiore debba procedere direttamente, per un suo singolo essere, a quello inferiore corrispondente. Quanto piuttosto invece intendiamo, che questo debba avvenire nei confronti di un elemento, il quale verrà a comprenderli tutti quanti, vale a dire, per ciascuno dei singoli stati, oppure livelli.
Sarà questa peraltro una necessità affatto ineludibile. Nel senso che, dato per assurdo che non vi fosse un uomo al centro di uno dei livelli dell’esistenza, o di tutti, vi verrebbe pur sempre a sussistere un qualche ente, questo centrale e complessivo, donde l’uomo, con tutti gli altri enti di quel livello, verrebbe pur sempre a dipendere. Ora che l’uomo debba essere inevitabilmente un essere siffatto, lo verrà a richiedere ed a dimostrare la sua stessa funzione rappresentativa eminente, che lo qualifica in quanto tale universalità.
L’uomo rappresenta, nel senso di rifletterlo, il suo mondo, essendo peraltro questa sua stessa rappresentazione preludio possibile di un’ulteriore eminenza, virtuale quanto a lui, ma reale in sé stessa, che sarà la scaturigine, a quel suo livello d’esistenza, di tutto l’insieme di suoi esseri. Eminenza quest’ultima per lo più virtuale, quando non s’abbia qui ad intendere la scaturigine della discesa, che include l’insieme delle attualità donde una siffatta eminenza virtuale, con tutto quello che le si appone, non potrà non scaturire.
Necessità anche quest’ultima, se l’insieme delle effettualità reali non potrà prescindere da un’eminenza produttiva anch’essa reale, quand’anche quest’ultima non debba essere unica, rinviando la sua compiuta unità alla sua superiore eminenza. Dunque l’uomo universale, quantunque molteplicemente, il che significa sciente, per quella medesima comprensione produttiva, e non meramente rappresentativa, e volente, per la sua adesione a quella molteplicità unica, ed uno, per quella sua ripetuta inclusione, e buono, per l’eminenza esistenziale di quella sua inclusione: uno, buono, volente, e sciente.
E da ultimo libero, quando quest’inclusione non venga conculcata comecchessia. Altre qualità si potrebbero qui addurre, o per derivazione, oppure anche per eminenza, dato che ognuno di questi attributi, siccome ben sapevano gli antichi, così come anche sanno certi orientali, quantunque si premurino d’ignorare pretestuosamente i moderni ed i contemporanei, comprende e viene compreso dagli altri, questo secondo vari ordini, secondo i quali derivano e dall’assunzione primaria, e dalla prevalenza la quale si radica in questa medesima comprensione, dando luogo a differenti derivazioni.
Dunque la libertà, almeno quanto a noi, secondo questi assunti, verrà ad essere un trascendentale, donde deriva, o che deriva da tutto l’insieme dei rimanenti assunti, che saranno a rigore infiniti, nel senso d’includere un’indefinitezza possibile radicantesi nell’eminenza esistenziale, secondo che di volta in volta si proceda ad un succedersi ulteriore. Tanto che venne detto giustamente da un sommo Vate ispirato:”Questa natura sì oltre s’ingrada in numero, che mai non fu loquela, né concetto mortal che tanto vada”.
Certo avremo qui anche degli ordini, che verranno ad essere ripetitivamente successivi, ma pur sempre convertibili, la successione dei quali verrà peraltro ad essere data non tanto da un qualcosa di proprio, quanto piuttosto dall’eminenza di una derivazione trascendente, la quale sarà quella del loro dato primordiale, quantunque sia consentito anche di assumerle disparatamente, almeno quanto a noi, ma questo avvenendo pur sempre nel senso della conoscenza suprema omniinclusiva, così come della sua volontà produttiva.
La libertà dunque, in un senso eminente, scaturigine divina, ed inclusione divina, radicata nell’eminenza esistenziale, a procedere dalla scaturigine suprema di quella medesima trascendenza. Questa libertà verrà dunque ad avere due aspetti. Un aspetto per il quale essa include, senza nulla escludere, almeno nel senso perfettivo suddetto, tanto da essere senza non essere. Questo dal suo punto di vista supremo. Donde poi deriveranno tutte quelle sue inclusioni sì parziali, ma ciascuna inclusiva, almeno virtualmente, di un tutto.
Nel senso del suo radicamento in una compiutezza, attuantesi di volta in volta in una sua reduplicazione limitativa, a svariati livelli, siccome un qualche cosa che si produca nel verso sua della definizione. Nel senso di un essere che sarà, al di là di quella della sua semplicità primaria e compiuta, tanto da venire così ad essersi limitativamente, in vario modo, da una reduplicazione formale complessiva, ad una reduplicazione di definizioni riproduttive, secondo una via sempre più limitativa, con il discendere dei vari livelli dell’essere.
Dicevamo dunque che, quanto alla libertà trascendentale, si avrà un’inclusione, la quale discende, oppure ascende, dal suo grado supremo, e perciò si debilita di volta in volta, per ciò stesso negandosi in quanto tale, in quanto libertà. Il secondo aspetto sarà invece quello della sua esclusione limitativa, da addursi quanto alla sua reduplicazione, di volta in volta, il quale le verrà a dare, almeno formalmente, se non nella sua virtualità sostanziale, un qualche modo di conculcamento, se non altro in un senso meramente esistenziale.
Che andrà dal perfetto accordo delle inclusioni superne, a derivare ciascuna dalla sua primalità ripetitiva,:”Che per quanto si dice più lì nostro, tanto possiede più di ben ciascuno”, tanto che, com’è stato detto da un grande sapiente, se tutti gli uomini d’Iddio Altissimo venissero a porsi tutti assieme, in un solo sito, là non vi sarebbe nessuna contesa. Sino alle opposizioni inferiori, altre esistenziali, sostanzialmente del tutto ingiustificate, altre invece radicate nella pretesa insussistente di opporsi al principio, altre ancora in una varia composizione dell’una e dell’altra della due eventualità suddette.
Opposizione dovuta al fatto che derivando dalla trascendenza, s’esistenzia e si compie centralizzandosi, ma per questo stesso motivo venendo ad escludere da sé in una mera velleità, la velleità dell’opposizione sostanziale, sussistente sì in lei, ma in lei pur sempre radicata nella sua pretesa di sussistenza e di prevaricazione. Dicevamo che quest’ultimo sarà l’aspetto secondo della libertà, il quale verrà a ricondursi a quello che si diceva già in precedenza, ovverosia al duplice aspetto della sua soggettività, e del suo fine.
Quanto alla soggettività, vale a dire, quanto al soggetto della libertà, quella di un libero, essa verrà ad essere radicata in quell’inclusione suddetta, per cui il libero verrà ad essere tale di per sé stesso, vale a dire, essendo nel senso suddetto in primo luogo, ed essendo anche reduplicativamente, nel senso di una sua sostanzialità virtuale, così come anche di un essere definitivo e limitativo, nel caso suddetto almeno nel quale il secondo non venga ad essere semplicemente comprensivo e reduplicativo, tanto da riprodurre il primo.
La libertà, in un tal senso, sarà alcunché di dato, anche se non certamente una volta per tutte, perché, grazie quella sua virtualità, almeno nel caso dell’essere centrale, verrà ad essere volta per volta, ripetitivamente inclusiva, nel senso che la suddetta inclusione effettuale procederà a tutta una serie di mere rappresentazioni, ed a tutta una serie di sussistenze effettuali, almeno nel caso di quella suddetta centralità omniinclusiva, che verrà ad attuare successivamente la suddetta virtualità sostanziale sotto il riguardo della formalità completiva.
A differenza di quello che invece avviene per le inclusioni formali limitative, le quali o daranno luogo a delle mere rappresentazioni, oppure anche, nel caso estremo, non daranno luogo a nessuna rappresentazione, nel senso di limitarsi ad una mera formalità non rappresentativa, fissata qui una volta per tutte, a prescindere da quelle virtualità che, in vario modo, la concerneranno direttamente ed esclusivamente. E veniamo dunque qui, data che sia quella suddetta virtualità, al secondo aspetto della libertà, a quello del fine, oppure del per cui, del quale si fa ai nostri giorni tanto gran ciarlare a vanvera.
Una tale libertà sarà dunque quella d’includere forme varie, non solo rappresentative, ma anche effettuali, essendo quest’ultima quella inusitata, almeno per il presente modo di vedere. Nel senso della conoscenza, e del suo desiderio, vale a dire, del suo amore, “che a cor gentil ratto s’apprende”. Sarà questo un tratto comune dell’umana natura, derivazione del suo conoscere, per il fatto che questa conoscenza va dove la mena il cuore, per dirla in un maniera abusata e comune, ma alla fin fine corretta, se intesa come le compete.
Dunque conoscenza ed amore, vale a dire volontà. Conoscenza che potrà portare ad essere variamente, e nel senso di una mera rappresentazione, ed ancora oltre, siccome appunto già dicevamo. Il fatto sarà che, al di là della mera rappresentazione, vi sarà uno stato esistenziale ulteriore, il quale sarà quello della conoscenza eminente, vale a dire, di volta in volta, quello di chi vi pervenga mercé del suo risultato intellettuale ed esistenziale, ovverosia del suo merito, quando la cosa venga intesa in un significato attuativo e morale.
Risultato il quale, si badi bene, a scanso d’errori, non sarà radicato nella sola conoscenza, nel senso della rappresentazione e della sua ulteriore effettuazione, ma si riferirà inoltre anche ad un vario agire effettivo, vale a dire, ad un’effettualità la quale si radica a sua volta nella conoscenza. Non dunque una mera fede, nel senso di una conoscenza completamente avulsa dal suo oggetto ed arbitraria, radicata che essa sia comecchessia, o velleitariamente in sé stessa, oppure anche solamente in un che di superiore, ma affatto inattinto.
L’atto verrà in effetti ad essere così un atto duplice, avendosi esso e quanto al suo sussistere in questo suo livello esistenziale nel quale si sia radicati, e quanto a quelle sue scaturigini sovrastanti sopraordinate, che faranno sì, che il fatto di conoscere venga ad essere in ogni caso alcunché di discendente da qualcosa di sopraordinato, la qual cosa verrà ad aversi sia nel senso delle esistenze marginali del nostro livello d’esistenza, sia soprattutto nel senso di quelle esistenze centrali sopraordinate e produttive rispetto a quelle marginali.
Soltanto che, in un caso siffatto, in quello della conoscenza attiva, nel caso dell’agire e della fede, si avrà che la conoscenza dovrà essere tale dell’agire, se non della trascendenza. Mentre quanto a qualsivoglia essere, verrà a proporsi quanto al suo radicamento superno, quantunque essa venga, per gli esseri marginali, a radicarsi anche in una centralità, venendole sopraordinato, di livello in livello dell’essere, e nel caso centrale, ed in quello marginale, un qualcosa di sovrapposto alla sua sostanzialità ed alle sue acclusioni.
L’uomo, in questo modo, sarà libero sì, ma di ascendere eminentemente sino ad una sua scaturigine superiore, vale a dire, alla scaturigine delle pluralità essenziali complessive, alle quali non gli sarà dato di accedere, mercé della sua personificazione, la quale la escluderà da quella sussistenza ab aeterno, voluta in quanto tale dall’Altissimo. Libertà dunque, quella eminente, che si renderà in questo modo duplicemente radicata, ed in quella sostanzialità sottesa produttiva della quale si diceva poc’anzi, e nel suo prodursi variamente nel verso dell’ascesa, siccome appunto già dianzi dicevamo.
La qual cosa non toglierà che i livelli dell’essere siano molteplici, variamente sia inferiori, sia superiori al nostro. Tanto che quella medesima produzione centrale potrà convenire nel senso di una produzione discendente, tale da debilitare variamente le presenti rappresentazioni ed effettualità, sino addirittura al punto di renderle comprensive sì, ma nel verso di una siffatta debilitazione, che la farà sprofondare nel senso di una comprensione affatto illusoria, ma tale da riprodurre a suo modo l’inclusione superiore.
Ora questa discesa avrà le sue conseguenze anche quanto all’agire. Agire il quale, siccome già dicevamo, sarà il proporsi effettuale della conoscenza, che realizzerà di volta in volta, mercé delle sue risultanze effettive, la persona al di là della sua sostanza, nelle sue reduplicazioni variamente definitive. Conoscere ed agire dunque, secondo un asserto apparentemente banale, non fede cieca scissa o no dalle opere, o mera conoscenza, oppure operare a sé stante, questo nel caso di un operare del tutto avulso da fede e conoscenza.
L’attuazione, la falsa attuazione inferiore, farà dunque sprofondare la persona nel senso di una debilitazione dissolutiva della sua esistenza e del suo agire, contrariamente a quanto avverrà invece per l’ascesa, sino al limitare del suo fastigio, dato che questo sia oltre ab aeterno, presso l’Essere Supremo, sia magnificato ed esaltato, al di là dell’essere, o dell’esistenza. Ora a questo punto, tornando al nostro precedente discorso della suddetta attuazione grazie all’agire, sarà evidente che un agire siffatto verrà ad essere svariato.
Ai nostri giorni si va continuamente a cicalare di libertà, quasi essa fosse un insieme di azioni esterne, più raramente interne, ma che verranno ad essere pur sempre un qualche cosa che verrà a saldarsi alla persona agente. Ora sarà da osservarsi, che in nessun caso un simile agire verrà ad essere neutro, nel senso che gli sia dato di prescindere dai livelli sopraordinati o subordinati dell’essere, ma in ogni caso promanando dalla trascendenza o direttamente, o nell’altro caso per via di un’assunzione inferiore, che a sua volta ne scaturisca.
Assunzione inferiore nella quale verrà ad essere intrappolata, essendovi di volta in volta privata di quell’agire in un senso superiore, riguardante i livelli sopraordinati dell’essere. Nel senso che, privato che sia di quest’eventualità, l’essere non potrà così tornarvi, essendogli negata, in questa medesima inferiorità, ogni possibilità d’ascesa, ma anzi venendogli dato di discendere ulteriormente una volta cha la cosa sia fatta, vale a dire, una volta che l’esistenza sia volta in quel senso discendente, senza la resipiscenza della conversione.
Ed inoltre, tenendo conto della varia determinazione degli atti, giammai equivalenti in senso esistenziale, avendo ognuno di loro una sua differente efficacia, sarà pure che il loro sembiante verrà ad essere talvolta indifferente, od anche neutro quanto ai due versi contrapposti dell’esistenza. Ecco dunque, quanto a noi, tutta una serie di azioni esistenzialmente produttrici, che ci sembreranno del tutto insulse quanto alla loro efficienza esistenziatrice. Tanto che, nel caso dell’assunto estremo, come pretende il Croce, verrà ad essere solamente la loro pluralità non conculcata la liberta reale.
Al punto che in questo modo, giammai la libertà verrebbe ad essere definibile, ma verrebbe invece ad essere omnicomprensiva, tanto da darsi indifferentemente nell’uno o nell’altro atto effettivo. Assurdità palese quest’ultima, la quale non tiene in nessun conto il fatto, che si non avrebbe nemmeno nessuna esistenza, venendo quest’ultima a darsi siccome un che d’indefinito, non d’infinito, nel senso di non avere nessuna qualità, finita oppure infinita che essa sia, nella sua suddetta conversione trascendentale con la libertà.
Dovendo aversi una definizione anche nel senso della libertà infinita trascendente omnicomprensiva, la quale includerà, non escludendone nessuna, tutte le varie qualità esistenziali perfettive, o nel senso di una definizione qualitativa, quale che essa sia, o ascendente, o discendente, tanto da attuare in sé, nel primo caso, una differenza riconducibile a quella, siccome recita Tommaso d’Aquino, tra essere indefinito ed essere perfetto, oppure tra Essere Divino ed essere indeterminato, culmine inferiore dell’imperfezione.
Dunque la libertà verrà, in questo modo, ad essere variamente attuata, nel senso dell’ascesa, e della sua realizzazione superna e suprema, e della sua discesa debilitativa, che saranno le stesse di quelle dell’essere, dalla sua intensificazione, alla sua debilitazione, e viceversa, siccome recita Molla Sadra. Quello che andrà qui rilevato, sarà il fatto che gli atti definiscono un essere apposto alla singola sostanza, siano essi transeunti o permanenti, vale a dire, stati e modi i quali verranno a saldarsi a delle trascendenze, oppure a delle regressioni, ma tali da produrne le sembianze ed il darsi nei livelli inferiori.
Questo nel senso che di volta in volta, di livello in livello ascendente, l’essere riprodurrà un’entità subordinata, senza che questa debba prodursi a sua volta nel suo livello superiore permanente, la stessa cosa valendo di converso per i livelli inferiori. Sarà così che la persona s’arricchirà o si debiliterà, quantunque anche in quest’ultimo caso per aggiunte, questo tendendo conto della riproduzione invertita dei livelli superiori da parte di quelli inferiori, essendo quest’ultima dunque la conseguenza della libertà d’agire.
Libertà dunque che si realizza attributivamente quanto ad una data sostanza, elevandola od umiliandola, a prescindere dagli stati di quegli eletti dati una volta per tutte, quel mondo dove gli esseri sono senza non essere, per dirla con Platone. Libertà dunque, in questa medesima maniera, non solo trascendentale, nel senso di essere ineludibile da una esistenza qualsiasi, ma in quello di venire prodotta, questo almeno quanto agli esseri centrali. Peraltro anche quanto alle esistenze marginali avremo ancora attribuzioni di sostanze.
Ma avremo qui attribuzioni sostanziali, le quali si verranno a riferire sì ancora alla loro trascendenza, ma solamente per il tramite dell’essere degli stati centrali, senza che pertanto vi possano ascendere senza venire ad estinguersi in loro. Tutto questo a differenza degli esseri centrali, i quali invece avranno modo di ascendere quanto al loro stesso essere, senza che quest’ultimo ne debba venie comecchessia conculcato, venendo dunque a riproporsi in quanto tale nella trascendenza, vale a dire affatto medesimamente.
Definendo dunque gli atti, o gli eventi, questi per quegli enti non suscettibili d’azione, degli esseri facenti riferimento a delle trascendenze, o direttamente, oppure per interposta realtà, ma venendo nel primo caso, venendo ad avere una qualche definizione, un arricchimento nel senso perfettivo delle sostanze medesime, od una debilitazione. Il tutto si riferirà a quella libertà sì trascendentale, siccome dicevamo, non indefinita, ma invece definita, o perfettiva, o regressiva. Liberi dunque sì, ma di essere, o di non essere.
Tanto che la libertà stessa, perché possa darsi un’ascesa perfettiva, dovrà essere rigorosamente definita, senza che questo possa lederla. Perché la libertà non riguarderà la possibilità d’azioni svariate, come creduto comunemente e volgarmente, ma concernerà invece l’ascesa dell’essere. D’altro canto, per gli stati marginali essa verrà ad essere data una volta per tutte, nel senso di non dare luogo ad eventualità contrapposte, nel verso dell’essere perfettivo o no, quantunque ciò si abbia per l’uno o l’altro essere marginale.
Per gli essere centrali, per loro inclusione virtuale, essa non sarà data una volta per tutte, ma comporterà possibilità d’ascesa o di discesa, il cosiddetto “libero arbitrio”. Libero non nel senso di un’eminenza che sia data una volta per tutte, come sarà nel caso e dello stato superno, e di quegli che gli sono giustapposti e correlati, ma invece in quello suddetto, dell’una o dell’altra eventualità, comprensiva o no. Libertà dunque imperfetta quest’ultima, ma necessaria per quegli esseri che vi debbano ascendere, in ragione del loro stato.
Stato il quale, venendo a comprendere varie eventualità, darà luogo all’una oppure all’altra possibilità, entrambe venendo incluse in una virtualità che verrà ad essere sia ascendente, sia anche discendente, essendone l’eventualità un qualcosa d’attuabile, ma non d’attuata, tanto da comportare la possibilità dell’uno, così come anche dell’altro verso, vale a dire, il perfettivo, od il regressivo. La qual cosa venendo ad aversi in virtù di quell’amore, perfettivo o no che sia, il quale farà sì che la conoscenza venga ad attuarsi.
Ma non in un senso limitativo, quanto all’uno od all’altro verso, come sarà per gli esseri marginali, ma in quello invece di una pretesa totalità, tale da escluderne una contrapposta, nel verso dell’ascesa, o della discesa. Libero arbitrio degli esseri centrali, al quale farà da corrispettivo la libertà superna, che verrà ad essere eminentemente, vale a dire, quella dell’inclusione superna dell’essere stesso. Sarà in questa maniera che risulterà tutta la miseria di quelle pretese, che sia libero chi fa quello che gli piace, non quello che vuole.
Giacché quello che gli piace verrà ad essere solamente una virtualità ridotta ad una mera alternativa limitata, come sarà per gli esseri marginali, quantunque questi ultimi, in senso stretto, non abbiano virtualità, ascendenti o discendenti. Libertà che peraltro, in assenza di un orientamento, in ogni caso necessario per il nostro stato presente, suscettibile di varie possibilità, non verrà se non a fare sprofondare l’esistenza, avulsa che sia velleitariamente dall’orientamento sopraordinato, che la conduca ad essere in senso eminente.
Orientamento che deriverà, lo si voglia o no, lo si accetti o no, da un insegnamento superno, dalla trascendenza stessa, mediato che sia da quelle entità sopraordinate, le quali si accostano direttamente alla sopreminenza divina, essendo date duplicemente, ed all’universo nel suo complesso, come recita un grande sapiente, ed in questo nostro basso mondo corporeo, in particolare alla sua specie umana. Insegnamento che avrà due tramiti, quello dell’insegnamento conoscitivo, dell’ispirazione, come conoscenza della realtà.
E quello dell’agire conforme imprescindibile, che verranno a realizzare nella sostanza quelle sue acclusioni eminenti, le quali la renderanno quello che essa sarà, l’inclusione esistenziale. Inclusione che realizzerà la libertà nel suo significato più alto, tanto da farle trascendere quella comunanza la che la definisce comunemente, come un che di concernente tutte le creature, facendo sì che essa venga a trascenderle, venendo ad attuarla nel senso superiore di quello che sarà il destino dell’uomo, ed in definitiva, anche del mondo.
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